Francesco Paolo Michetti   (Pagine 42 )      Fonte : Ritratti d'Artisti Italiani - 1911

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\fs24 Francesco Paolo Michetti. \par L'ho riveduto a Venezia l'aprile scorso, dopo molti anni. Senatore, sessant'anni, ma immutato e, pare, immutabile. \par - Quando riparti? \par - Quando finisce la carica. \par Uno dei presenti ha osato domandare \par - Che carica? \par Michetti s'\'e8 fatto indietro con la testa, quasi per contemplare nelle sue tre dimensioni la cubica ignoranza dell'interlocutore, gli ha spalancato addosso i suoi grandi occhi neri, e ha ripetuto: \par - Mah.... la carica, - e l'ha sillabato con tanto stupefatta semplicit\'e0 che quell'altro ha pensato a qualche carica senatoriale professorale ministeriale del celebre pittore, notissima a tutti e sfortunatamente a lui ignota, e non ha pi\'f9 fiatato. Ma Michetti l'ha soccorso: ha chiuso gli occhi come per raccogliersi prima di rivelare il terribile mistero, poi gli ha spiegato tra paterno e scanzonato: - Vede, quando io vado in una citt\'e0, carico dentro di me la molla della pazienza. Ma non posso sapere quanto dura la carica. All'improvviso la molla scatta. E allora non c'\'e8 santi che tengano. Da un'ora all'altra, da un minuto all'altro, io lascio tutto in asso e torno a Francavilla. Dalle citt\'e0 io non parto, fuggo. Ha capito che cos'\'e8 la carica? \par Infatti era arrivato l\'ec all'esposizione un giorno prima dell'inaugurazione. Fino allora non erano giunte che le cornici dei suoi paesaggi. La segreteria gli aveva telegrafato e ritelegrafato per sapere almeno i titoli: nessuna risposta. Michetti esporr\'e0? Non esporr\'e0? La sala che gli era destinata aspettava, vuota. Il catalogo era stato stampato con questa sola indicazione per quella sala: \'abQuindici paesaggi abruzzesi\'bb. Fradeletto gi\'e0 pensava a che cosa bisognava mettervi se mancavano i quadri di Michetti. E finalmente Michetti \'e8 arrivato sereno, un gran rotolo sotto il braccio. \par - E i quadri? \par - Eccoli, - e ha mostrato il rotolo. \par - Tutti e quindici? \par - Non bastano? \par - Ma per metterli in cornice? Per appenderli? Ci son pi\'f9 poche ore.... \par - Sono anche troppe, - e s'\'e8 messo da s\'e8 a lavorare rifiutando ogni aiuto. Traeva dal rotolo una tempera, la stendeva sul cartone bianco, la appuntava in quattro gesti con certe sue spille. Due ore dopo la sala era pronta. \'c8 passato un altro mese prima che si risolvesse a dare i prezzi di quei paesaggi. Ad alcuni intanto sembrava che i quadri fossero esposti troppo in alto; ad altri che quella crudissima carta bianca su cui egli aveva appuntato le sue tempere, le scurisse. Qualcuno ha osato dirglielo. Michetti \'e8 stato inflessibile: era un suo metodo, un suo ragionamento, una sua scoperta, e non ammetteva discussioni. Lo stesso aveva fatto trent'anni prima, nel 1881, alla grande Nazionale di Milano. Aveva telegrafato promettendo trentacinque opere ma chiedendo tutt'una sala parata di tela azzurra. E arriv\'f2 all'ultimo momento con tutte le sue opere, ma quando non trov\'f2 la tela azzurra, si rifiut\'f2 di trarle dalle casse. Ci volle del bello e del buono a convincerlo; egli aveva la sua teoria sulla tela azzurra e Leonardo in persona non l'avrebbe smosso. Perch\'e8 con Michetti potete discutere, fino a un certo punto, sulla bellezza d'una sua pittura, ma non sui vantaggi d'una sua scoperta tecnica o meccanica. Da dieci anni, ad esempio, egli ha dipinto poco perch\'e8 ha atteso a rendere perfetta questa sua nuova tempera in cui il colore \'e8 sciolto con uno speciale processo nella glicerina, e a renderla maneggevole tanto che ha inventato anche un lungo sgocciolatoio automatico perch\'e8 sulla carta scorra sempre un po' d'acqua e sgrassi il colore. Adesso egli pensa che la sua tempera sia trasparente, maneggevole, definitiva, e solo per questo ha dipinto in poco tempo quindici paesaggi e ha accettato l'invito di Venezia e li ha esposti. \par - Ho perduto molto tempo per poter far presto. \par Far presto. Un pittore che in piena accade\tab mia di divisionisti, di puntinisti, di ricamisti faticosi, d'\'abingenuisti\'bb grafomani capaci magari di costruire una teoria filosofica per sorreggere quattro freghi di bianco rosso e verde e farli credere pittura, si occupa ancora di raggiungere una tecnica veloce, fluida e sicura per dire presto e chiaramente quel che ha da dire, \'e8 un miracolo. Anche prima che d'arte \'e8 un miracolo di sincerit\'e0 e di abnegazione. Di sincerit\'e0 perch\'e8 Michetti s'\'e8 affannato dietro a questi problemi tecnici soltanto per togliere alla sua irruenza di meridionale ogni impaccio nel mezzo d'espressione, cio\'e8 per essere pi\'f9 immediato e pi\'f9 semplice che gli fosse possibile, forse in quest'ansia di ricerche dimenticando qualche volta che non basta un buon inchiostro per scrivere una buona poesia. D'abnegazione, perch\'e8, di fatto, pochi pittori moderni hanno raggiunto tanto presto quanto lui tanta destrezza e prontezza nel dipingere ad olio, a pastello, a guazzo, a tempera felicemente; e di questi pochi nessuno, dopo l'ebbrezza dei primi anni, ha diffidato quanto lui di questa destrezza e ha continuato, come egli continua anche sessantenne, a cercare sempre di mutare la piacevole abilit\'e0 in meditata semplicit\'e0. Il quale sforzo giustific\'f2 dieciotto anni fa l'iperbole affettuosa di Gabriele d'Annunzio: \'abEgli non \'e8 soltanto il pi\'f9 possente e il pi\'f9 felice organismo pittorico apparso in questo secolo; ma \'e8 ben anco la pi\'f9 acuta intelligenza che sia penetrata nel pieno spirito dell'Arte moderna\'bb. \par A Tocco Casauria, in quel di Chieti, si sale dalla strada di Popoli per bere l'ardente e limpido Centerbe che vi si distilla dall'erbe della Majella e per vedere la casa dov'\'e8 nato Francesco Paolo Michetti. Della casa, veramente, dal grande stradale bianco non si vede che una finestrella cogli stipiti bianchi sulla facciata rosa, ma appena arriva un forestiero, tutte le dita si tendono a quella finestrella: - Lass\'f9 \'e8 nato Michetti! - Gli abruzzesi hanno infatti, fra i viventi, molti uomini celebri: d'Annunzio, Michetti, Tosti e Benedetto Croce. Ma il mastro, cio\'e8 il maestro, resta Michetti, non solo perch\'e8 \'e8 Michetti ma perch\'e8 non ha lasciato mai l'Abruzzo. \par Suo padre, Crispino Michetti, maestro di musica e capobanda a Tocco, mor\'ec che Ciccillo era bambino. \par - Ero nel negozio di mio nonno, - narra Michetti, - e molte persone si chinavano su me, accarezzandomi: \'abPap\'e0 \'e8 morto\'bb. Morto? Non capivo. Andai su a casa e mi sedetti in fondo alla scala. Tanta gente saliva e scendeva e passando tutti mi facevano una carezza. Io li guardavo curioso e orgoglioso di meritare tante attenzioni. E della morte di mio padre non ricordo altro. \par Aveva quattro fratelli e una sorella. Per essi, sua madre, una romana, Aurelia Terzini, dovette risposarsi, con un cuoco che condusse la nuova famiglia a Chieti dove Francesco Paolo fu mandato alle tecniche. V'insegnava disegno alla meglio un tipografo e il ragazzo lo seguiva anche fuori di scuola per aver carta e matita. Tanto disegn\'f2 che a diciassette anni, nel 1868, ottenne dalla Provincia trenta lire al mese, e corse a Napoli. L'avevano raccomandato all'incisore Bocchini, un chietino. Proprio il giorno dopo l'arrivo di Michetti egli doveva andare all'Accademia a presentare le prime prove di alcune incisioni al professore Gabriele Smargiassi abruzzese anche lui, di Vasto, che aveva insegnato pittura, si diceva, a Napoleone terzo, era stato carissimo al Conte d'Aquila fratello di re Francesco, aveva viaggiato mezza Europa e aveva venduto paesaggi storici ed eroici a tutte le corone del mondo. Il Bocchini condusse con s\'e8 il suo raccomandato. Lo Smargiassi, elegante, solenne, vestito all'inglese, la barba a spazzola, li ricev\'e8 con sussiego. \par - Sa, questo \'e8 un giovanetto che viene da Chieti per diventare pittore. \par - Comme, tu vo' fa' o' pittore? Fa chiuttosto 'o solachianiello, - che in napoletano vuol dire calzolaio. \par Adesso il Michetti descrivendo quell'incontro commenta: \'abQuella fu la prima parola che udii dall'arte ufficiale\'bb. Naturalmente all'Accademia di nudo non fu ammesso. Ci si ficc\'f2 da s\'e8, con la sua imperturbabile sicurezza. Edoardo Dalbono che frequentava quell'Accademia, una sera d'inverno, durante il riposo del modello, passeggiando dietro i banchi per scaldarsi, vide in un angolo buio quel ragazzo scuro come un mulatto, con due occhi lucidi e impertinenti, vestito di panno turchino come un capraio. \par - Perch\'e8 non andate a disegnare sui banchi? \par - E chi mi d\'e0 una tavoletta? Chi mi d\'e0 un foglio di carta da disegno? E poi chi mi d\'e0 il permesso? Il bidello, se mi vede, mi mette alla porta. \par - Lasciatemi vedere quel che fate, - e il Dalbono dov\'e8 strappargli di mano il pezzo di carta da droghiere su cui quello disegnava. Rest\'f2 ammirato, lo invit\'f2 al suo studio, convinse suo zio Cesare Dalbono presidente dell'Accademia ad ammetterlo ai corsi regolarmente. E Michetti studi\'f2, dipinse, incise, scolp\'ec, con una furia di cui solo pi\'f9 tardi cap\'ec la ragione segreta: voleva imparare tutto quel che poteva imparare e poi tornarsene in Abruzzo. N\'e8 imparare gli riusciva difficile ch\'e8 egli era nato per dipingere come gli uccelli son nati per volare. Era scontroso sempre e di poche parole: pareva temesse che, a vederlo ancora cos\'ec giovane e povero e ignoto, qualcuno potesse dubitare di lui e di tutto quel che egli ormai era certo di poter fare. Dipingeva sopra tutto animali perch\'e8 Palizzi li aveva messi di moda in pittura, perch\'e8 gli facevan pensare alla campagna desiderata e lontana, infine perch\'e8 come modelli non costavano niente. A forza di guardarla, era riuscito a ipnotizzare una gallina. Nel retrobottega di un venditore di tela da quadri, Meniello, al Largo Mercatello, Michetti la piantava sopra una tavola e con una bacchetta le voltava la testa a destra e a sinistra secondo il bisogno. Un giorno la principessa di Fondi venne a vedere il prodigio. Compr\'f2 la pittura, la mostr\'f2 al Morelli il quale volle esporla e le trov\'f2 lui stesso la cornice. Fu il primo quadro di Michetti che apparve in pubblico. \par Intanto altri collezionisti si disputavano tutto quel che egli faceva, e pi\'f9 pronti e pi\'f9 fortunati di tutti Edoardo Dalbono e don Paolo Rotondo, un mecenate di cuore e di gusto la cui raccolta \'e8 ora pel testamento di Beniamino Rotondo passata al museo di San Martino. Mi rammento di aver veduto nel 1899 a Berlino quando in quell'Accademia Reale furono esposte trecentoventicinque opere di Michetti, Wilhelm Leibl chino sopra una di quelle meraviglie esclamare: - Ma come ha fatto a dipingere cos\'ec? Come ha fatto?...\'bb Fin\'ec anche a scolpire. Dalbono ha una terracotta di lui che pare di Gemito, e a Parigi, credo nel 1878, Michetti mand\'f2 addirittura un gruppo in scultura: rappresentava una madre nuda giacente e accanto a lei il suo bambino che rideva e le strizzava la mammella; e poich\'e8 aveva dipinto il gesso in verde scuro per farlo sembrare bronzo la folla ammirava esclamando \'abQuelle beaut\'e9! C'est une n\'e9gresse...\'bb Ma glie l'esposero all'aria aperta e ci piovve su, e il finto bronzo fin\'ec in pezzi a Parigi. \par Intanto una sera, nella primavera del '69 o del '70, in Accademia gli allievi fecero baccano. La mattina dopo quando Michetti si present\'f2 al portone dell'Istituto, il bidello lo ferm\'f2: \par - Nun potite tras\'ec. \par - E perch\'e8 no? \par - Pecch\'e8 no. Nun vo' pozzo d\'ec. \par Ma Michetti lo scansa con un urtone, vola su per le scale, entra in direzione, in pieno consiglio accademico. Tutti lo guardano, chi stupito, chi spaurito. Il segretario lo affronta: - Che volete? - Voglio sapere perch\'e8 non posso pi\'f9 entrare nell'Accademia. - Allora il segretario gli mostra il rapporto d'un usciere che accusava proprio lui Michetti d'aver preparato il tumulto, d'aver detto male di due professori, Mancinelli e Morelli addirittura. - Si chiami l'usciere! - urla Michetti. Devono accontentarlo. L'usciere viene, trema, si confonde, ma incoraggiato dal segretario e da qualche professore finisce a confermare a voce quel che ha scritto. Michetti lo fissa in faccia che pare debba sbranarselo. Poi, disgustato dalla menzogna si contenta di alzar le spalle e di dichiarare al consiglio accademico: \par - Signori, io vi saluto. E per sempre! \par - Dove vai? \par - Vado nel bosco di Capodimonte. A dipingere non si impara che l\'ec. \par E non lo rividero pi\'f9. Morelli and\'f2 a cercarlo, per calmarlo, fino in un'osteria dove la sera si radunavano a bere molti pittori, e Morelli gi\'e0 glielo aveva rimproverato \'abch\'e8 a bere - diceva - \'e8 come se t'impiccassi con le tue mani\'bb. Lo chiam\'f2 da parte, Michetti gli ripet\'e8 il suo proposito incrollabile di lasciare non solo l'Accademia ma anche Napoli. E Morelli gli mise le due mani sulle spalle, lo guard\'f2 commosso, poi gli disse: \par - Fa chillo che vuo', ma pitta, - e aveva gli occhi lucidi e se ne and\'f2. \par Cos\'ec Michetti ripart\'ec per l'Abruzzo e perdette anche la sua pensione. Ma a Napoli torn\'f2 spesso, a rivedere i pochi amici cui voleva bene. Una volta a studio di Dalbono incontr\'f2 il pittore Carlo Melina che nell'appartamento della principessa di San Severo di cui era l'intendente, aveva trovato in un vecchio mobile una scatoletta di pastelli carnicini dimenticati l\'ec dal settecento. Il pastello quasi da un secolo era stato abbandonato in Italia ch\'e8 classici e romantici per amore della \'abgrande arte\'bb l'avevano giudicato frivolo e femminile come tutta la graziosa e leziosa pittura settecentesca, da Latour a Rosalba. Dalbono prese su dall'ovatta ingiallita quei pezzi di terra rossa e rosea e sopra un cartone deline\'f2 l\'ec per l\'ec una mano dello stesso Melina. Michetti lo guardava in silenzio. Alla fine gli chiese di portarsi via la preziosa scatoletta, e appena si ritrov\'f2 in Abruzzo, col suo solito metodo, prima si fabbric\'f2 degli altri bastoncelli simili, d'ogni colore, poi si mise a dipingere con quelli teste e paesi. E tutti sanno quel che egli, innamorato fin da allora della pittura opaca, seppe far col pastello. Da principio l'adoper\'f2 solo per ritoccare le tempere e nella mostra nazionale di Napoli del 1877 apparvero dipinti cos\'ec un suo ritratto dello scultore abruzzese Costantino Barbella che fu anch'egli con la terracotta della Canzone d'amore una delle rivelazioni della mostra, e un autoritratto - quello spavaldo autoritratto cogli occhi fierissimi, il cappello sulla nuca, la camicia aperta sul collo che insospett\'ec Camillo Boito e gli fece scrivere le sagge parole: \'abSospetto forte che non sia poi un tanto gran matto quanto egli vuol che si creda\'bb. \par Intanto avendo firmato un contratto col Reutlinger, negoziante d'arte a Parigi, Michetti aveva fatto una corsa fin l\'e0. V'era giunto ai primi di giugno del 1871 quando le rovine delle Tuileries fumavano ancora. In treno a Modane s'era incontrato col pittore ticinese Luigi Chialiva che non lo conosceva ma aveva nella sua valigia un quadretto di pecore dipinto da lui, e dal Chialiva comprato in Germania. Quando il Chialiva seppe che il suo giovane compagno era pittore e italiano, gli mostr\'f2 il quadro chiedendogli chi fosse questo Michetti: \par - A veder com'ha dipinto questo quadretto, deve essere avanti negli anni. Ma io non lo conosco, - e Michetti gli si fece conoscere dicendo i suoi vent'anni. A Parigi vissero insieme, ma il Chialiva non ne part\'ec pi\'f9, tanto che da molti, non dagli amici, \'e8 stato considerato pi\'f9 francese che italiano. Di fatto solo le Pastorelle abruzzesi che si tenevano per mano, riprodotte nel 1875 dall'Illustrazione Italiana del Treves cui il fratello di Michetti, Quintilio, dava spesso schizzi e disegni, avevano cominciato a diffondere il nome del giovane abruzzese fuori del mezzogiorno; e il buon Netti, pittore e scrittore, appena le aveva vedute aveva iscritto con franchezza di collega: \'abFinisce a far invidia. Con che diritto costui fa bene senza stentare e senza aver sofferto nulla?\'bb \par Ma due anni dopo era difficile trovare chi in Italia non conoscesse Michetti e non ammirasse quella sua arte vivacissima e spiritata come il pi\'f9 palese segno della giovinezza della nazione rinata. \par L'esposizione nazionale di Napoli del 1877 alla quale non partecipavano n\'e8 il Morelli n\'e8 il Palizzi n\'e8 il Dalbono n\'e8 il de Nittis n\'e8 il Vertunni, lasci\'f2 nella pittura meridionale libero il trionfo al Corpus Domini del Michetti. E d'altra parte, le altre buone pitture come lo Sposalizio del de Chirico da molti opposto per somiglianza di soggetto e per una pi\'f9 ponderata invenzione al quadro del Michetti, la Porta Adriana a Ravenna di Telemaco Signorini, che pareva indulgere all'universale adorazione per l'inimitabile Fortuny, il semplice e commosso Monte di piet\'e0 di Francesco Gioli, il luminoso Coro pagano di Francesco Netti, il Palazzo di Giustizia a Tangeri del Biseo, il vasto e focoso Covo dei briganti del Cammarano, l'Eruzione del Vesuvio del Toma, la Villa d'Orazio del Miola, la Testa di Ottavia davanti a Nerone del giovane Muzzioli, il primo Duomo di Milano di Filippo Carcano, il San Gerolamo del G\'e9r\'f4me, e, fra le sculture, i Fratelli Cairoli del Rosa, l'Ortis di Ettore Ferrari, la Canzone d'amore del Barbella, tre giovani quasi ignoti, e i brutali Parassiti del d'Orsi dal cui fosco verismo tanto vigore doveva poi trarre lo stesso Michetti, e perfino le polemiche e le proteste che accompagnarono fra gli artisti di tutta Italia la formazione e i deliberati della giuria, e le ripetute visite del re, dei reali e dell'imperatrice Eugenia, tutto contribu\'ec ad attirare su quella mostra, cio\'e8 sull'improvvisa fama del Michetti, l'attenzione nazionale. Fu un coup de foudre o, come dissero i colleghi pi\'f9 maliziosi, lo scoppio d'un fuoco d'artificio. \par Il quadro fu subito chiesto dal Goupil ma le lunghe trattative infastidirono Michetti che le interruppe in un modo degno di lui: regalando il quadro alla contessa de la Field. La contessa de la Field per riconoscenza ordin\'f2 al pittore un quadro simile a quello, e fu la Mattinata. Alla vendita de la Field, Matteo Schilizzi li compr\'f2 tutti e due, e poco dopo acconsent\'ec a prestarli a un'esposizione d'arte italiana in Berlino dove l'imperatore di Germania volle ad ogni costo comprare il Corpus Domini. E naturalmente lo ha anc\'f3ra. \par Il quadro rappresenta senza cielo la facciata e, per tutta la larghezza della tela, la scalinata d'una di quelle cupe chiese abruzzesi intorno al mille i cui tesori d'architettura e di decorazione sono stati studiati con metodo solo in questi ultimi anni dal francese \'c9mile Berteaux. Dalla porta maggiore spalancata, sotto un ampio baldacchino di seta a righe bianche e gialle, esce il prete officiante, con la pisside sotto il piviale rutilante. Proprio dietro a lui, pel vano della porta, splende l'occhio del fondo dell'abside. I soci delle Confraternite ammantati di bianco, uno con la cappa turchina, uno con la cappa violetta, cantano a tutta gola e sostengono le aste del baldacchino o, in cima a pali, fasci d'erbe e di fiori e, tra il frondame, globi di cristallo bianco, accesi dentro. Avanti a loro quattro donne vestite di nero, due per lato: tra le donne, proprio nel mezzo, una fila di bambini nudi sani e paffuti, d'ambra e di rosa. I piccoli ventri ancor gonfii, gli anelli che la pelle arrendevole fa ai malleoli, all'inguine, al collo, ai polsi, ai gomiti, e le loro collane d'oro e i diademi d'oro gravi e barbarici, e i calzettini di lana candida con fiocchi e nappe, e pi\'f9, gli atteggiamenti dei piccoli trionfatori, uno pauroso, uno fisso e sorridente, uno maestoso, uno danzante, uno impettito, uno ritroso: tutto \'e8 reso con una mano ferma e pur carezzevole, d'un brio e d'un'astuzia indiavolata. Su tutti i gradini \'e8 una fiorita di mille colori, e a destra di chi guarda \'e8 una calca di donne che lanciano fiori con impeto, e altre pregano, e altre si stupiscono, e altre ridono gettandosi indietro in un arco da baccanti. A sinistra invece alcuni contadini vestiti di panno turchino, sotto la direzione d'un capobanda vestito di nero, battono grancasse e tamburi, soffiano in una batteria di ottoni infiorati di rose, ornati di penne di pavone e di fiocchi. Dietro loro, di l\'e0 dalla chiesa, a sinistra, un po' di paese aperto e chiaro: un albero verde, casupole lontane, un cielo azzurrino, nubecole bianche, rondini volanti. \par E nell'orgia dei colori, come si diceva allora, si scorgono tutti i movimenti che sembrerebbero pi\'f9 difficili a fissarsi. Pare che soffiando su questa tela, qualcosa debba volarne via. I fiori scagliati son colti a mezz'aria. Le donne che discendono hanno un piede sospeso tra due scalini. La mano che leva la mazza sulla grancassa resta a mezzo gesto. Un contadino in primissimo piano (il ritratto, dissero, dello stesso pittore, e l'allegoria era un po' arguta e un po' imprudente) d\'e0 fuoco a un petardo che scoppia in quel punto e se ne ripara con la mano aperta, facendo una smorfia. E anche la donna l\'ec presso si ritrae squilibrandosi verso il centro. \par Certo non vi furono solo entusiasmi. L'eccesso di grazia, la volont\'e0 di stupefare, quella visione tutta gioconda e un po' carnevalesca della vita campestre che pittori d'oltralpe, da Courbet a Millet, gi\'e0 da molti anni rappresentavano invece con una seriet\'e0 fatta di malinconia e di piet\'e0, sembrarono a molti altrettante prove dei rischi che correva quella meravigliosa natura di pittore. D'altra parte, l'evidente ammirazione del Michetti per la pittura \'abtutt'occhio\'bb dello spagnolo Mariano Fortuny che solo da tre anni era morto a Roma ed era stato accompagnato al cimitero da tutti gli artisti nostri fra un compianto solenne come un'apoteosi, se dava ai fortuniani d'Italia, quasi tutti romani napoletani e fiorentini, un nuovo argomento per esaltare il quadro del Michetti, dispiaceva a coloro che sette anni dopo la presa di Roma speravano di veder sorgere una pittura tipicamente italiana anche nel mezzogiorno e invece vedevano fortuneggiare nel Bagno turco o nella Visita ai sepolcri perfino Domenico Morelli. Il Fortuny aveva dimorato a Portici nella villa Arata tutta l'estate del 1874, cio\'e8 fino a pochi giorni prima della sua morte. Gemito aveva modellato la testa di lui, di sua figlia e di suo cognato. La casa del Fortuny, ricco, generoso, ospitale, innamorato dell'Italia, era aperta a tutti gli artisti napoletani, tanto che una notte, capitanati da Dalbono, da Gemito e da Mancini, essi, armati di mandolini e di chitarre, andarono da Napoli a Portici a cantargli una serenata \par P'allicurd\'e0 lu tiempo \par Che a dacce tanto annore \par Fortunno, lu pittore, \par A Napoli starr\'e0. \par Un mese dopo la sua morte, pel capodanno del 1875, Edoardo Dalbono scriveva alla signora Fortuny queste parole che riassumono l'entusiastico affetto di tutti i suoi colleghi pel grande spagnolo: \'abPer noi Fortuny vive sempre. Egli \'e8 con noi sempre che la nostra fantasia si eleva nel campo della bellezza, egli \'e8 con noi quando si spera, egli \'e8 con noi sempre che una carta ed un lapis si presentino ai nostri occhi, egli \'e8 con noi quando la natura \'e8 splendida di sole ed abbagliante, ogni discorso d'arte finisce con Mariano Fortuny\'bb. E basta guardare gli acquarelli del Dalbono per riconoscere la sincerit\'e0 di questa adorazione. La quale del resto trovava nelle ordinazioni dei maggiori mercanti parigini d'arte, del Goupil e del Reutlinger, anche argomenti persuasivi. Dalbono, Campriani, Tofano, Michetti e proprio nel 1875 lo stesso Morelli poterono firmare con essi contratti sicuri e fruttuosi come da allora non se ne sono pi\'f9 veduti fra gli artisti italiani. E data la mania del mercato francese pel Fortuny, l'imitazione del Fortuny era allora pel Goupil e pel Reutlinger non solo un criterio di scelta ma anche una garanzia di fortuna. \par N\'e8 l'influsso del Fortuny fu il solo influsso straniero visibile allora nelle opere del Michetti. Da dieci anni, e precisamente dalla esposizione internazionale del 1867, Parigi aveva messo di moda i chiari e capricciosi pittori giapponesi e lo stesso Fortuny ne era stato incantato, ma solo il gruppo intorno a Manet e a Degas aveva tratto da quella iniziazione vantaggi positivi e durevoli: la limpidezza della colorazione, la vivacit\'e0 nel cogliere espressioni e movimenti fuggevoli, la libert\'e0 nel comporre equilibrando il quadro solo sopra un'armonia di colori e non pi\'f9 sulla simmetria delle linee e sul contrappeso delle masse. Come era avvenuto ai fontanesiani piemontesi e ai \'abmacchiaioli\'bb fiorentini, che avevano studiato il paesaggio inglese di Bonington e di Constable solo sui grandi paesisti francesi del 1830, anche questa volta gl'italiani non videro o almeno non capirono i giapponesi che attraverso al Fortuny e, peggio, attraverso i suoi minori e sfarfalleggianti seguaci. Fu un delirio: illustrazioni di libri, manifesti murali, testate di giornali, copertine di romanze, mode femminili, decorazioni d'intere sale, tutto parve uscir dai ventagli e dai paraventi e dalle false lacche dei bazar giapponesi di Napoli o di Roma. E pittori di ventagli, spesso come il Dalbono squisiti di brio, sorsero in ogni angolo d'Italia, schiavi del Giappone in nome della libert\'e0. E in tutti quelli che vollero dirsi originali e moderni furono presto visibili l'odio pel color mummia e per le cos\'ec dette \'abtinte sugose\'bb d'una volta, la diffidenza pei gialli e l'amor per la biacca, la ricerca della luce di faccia per evitare pi\'f9 che fosse possibile le ombre, la passione pei toni locali ed interi, il deliberato disdegno della prospettiva aerea, la mancanza di ogni profondit\'e0, tutte le figure sullo stesso piano egualmente chiare, dipinte a fior di tela. Son le parole d'un pittore, di Francesco Netti, scritte appunto per l'esposizione napoletana del 1877 e pel Corpus Domini di Francesco Paolo Michetti. \par Il quale da quel capriccio che era venuto di moda e che corrispondeva tanto bene alla sua giovinezza, part\'ec di corsa per mostrare in altri cento modi la sua fantasia bizzarra. Il modo pi\'f9 evidente furono le cornici dei quadri che egli naturalmente eseguiva da s\'e8. Quella del Corpus Domini color di ferro, con una donna dipinta in alto avvolta in un lungo lenzuolo e un bambino in braccio alla donna e, sotto, un uomo nudo e un disco d'ottone lucido con su una palla nera, recava scarabei, stelle marine, rosarii, crocifissi, discipline, scapolari in una confusione che voleva essere un commento del quadro e quasi una raccolta dei pi\'f9 singolari emblemi dell'anima abruzzese. E contro la cornice i critici si scagliarono anche pi\'f9 ferocemente che contro il quadro e, come sette anni dopo a Roma Nino Costa contro il Voto, i pi\'f9 feroci furono fin d'allora gli artisti che scrivevano d'arte - Camillo Boito e Adriano Cecioni. \par Per quella moda del Giappone, l'Italia rischi\'f2 addirittura di perdere il suo Michetti. Nel settembre del 1878 Antonio Fontanesi aveva, dopo meno di due anni, lasciato la cattedra di pittura all'Accademia di Tochio e se ne era tornato a Torino pel conforto degli amici e dei discepoli ch\'e8 il gran pubblico lo ignorava. Michetti andando anc\'f3ra una volta a Parigi si ferm\'f2 a Torino e and\'f2 col De Amicis a trovarlo, e il Fontanesi gli fece grandi lodi del Giappone tanto che Michetti torn\'f2 difilato a Roma e prepar\'f2 i documenti pel concorso alla cattedra lasciata libera dal Fontanesi e li present\'f2 alla legazione giapponese. Re Umberto era salito al trono da pochi mesi. Una mattina Michetti incontr\'f2 un generale amico suo e aiutante di campo del re, che gli consigli\'f2 d'andare, prima di partire, a salutare il sovrano. Michetti accett\'f2 e mand\'f2 a smacchiare e a stirare la sua marsina. La marsina non era tornata quando giunse l'invito pel giorno stesso, al tocco. Ed ecco il pittore partire invece che pel Giappone, alla ricerca della sua marsina. La trova dalla stiratrice, appesa alla finestra, stillante d'acqua, ch\'e8 la brava donna aveva pensato per smacchiarla di lavarla tutta. Michetti l'afferra bagnata com'era, corre a casa, la asciuga al fuoco come pu\'f2, e se l'infila che fumava e i calzoni gli arrivavano a mezza gamba e le falde sembravano due cenci. Tira di qua, tira di l\'e0, arriv\'f2 al Quirinale in un tale stato che in anticamera i domestici gli domandarono il nome della societ\'e0 operaia da lui rappresentata. Fu introdotto dal re. Bisogna vedere e udire Michetti raccontare quel colloquio, roteando gli occhi per imitare lo sguardo fiero di Umberto e stirandosi con le due mani sul ventre il panciotto bagnato per fargli raggiungere la cintola dei calzoni: \'ab- Voi, Michetti, proprio voi volete andare al Giappone? - Maest\'e0, vi lavorer\'f2 molto bene. - Michetti, voi non dovete andare laggi\'f9. Il vostro posto \'e8 qui\'bb. Michetti non volle udir altro. In fondo, le parole del re gliele diceva gi\'e0 da molti giorni il suo cuore. Torn\'f2 a casa, regal\'f2 al primo che trov\'f2 la sua marsina grinzosa, e rest\'f2 in Italia. Al Giappone and\'f2 l'altro concorrente, un pittore Sangiovanni. \par Cos\'ec Michetti pot\'e8 concorrere alle esposizioni di Torino del 1880 e di Milano del 1881. Furono quelle le prime prove in cui egli si misur\'f2 coi pi\'f9 austeri pittori settentrionali, col Bianchi, col Carcano, col Fontanesi il quale a Torino esponeva le Nubi e parve che nessuno, n\'e8 giurie n\'e8 pubblic\'f2, se ne avvedesse. E al romor del successo anche quelle prove sembrarono riuscir fortunatissime pel Michetti. A Torino esponeva tutte pitture ad olio, i Pescatori di tondine, i Morticini, la Domenica delle Palme che era quasi una variante del Corpus Domini, l'Impressione sull'Adriatico che \'e8 rimasta una delle sue marine pi\'f9 schiette e luminose su quel mare senza tramonti, l'Ottava che fu subito comprata dal re. A Milano espose trentaquattro quadri - teste e paesi, - e la maggior parte era dipinta a pastello e a tempera. Le teste eran quasi tutte teste di giovani contadine dalle gote sode, dai capelli lisci, dalle labbra tumide, dalle orecchie rosee ornate spesso da grandi cerchi d'oro, campioni di salute e di giovent\'f9 grandi spesso quanto il vero cos\'ec che sembravano, strette nella cornice, anche pi\'f9 grandi del vero, un po' sorde di luce o almeno tutte dipinte sotto un'uguale luce di studio senza che mai l'aria aperta dei loro campi le avvolgesse e le animasse, ravvivate solo da qualche sfrego di colori violenti, un giallo, un rosso, un cobalto sul fondo o nello scialle sul seno, ma modellate, pareva, a colpi di pollici e come scolpite. Furon vendute tutte nei primi giorni e riprodotte tutte coi pochi processi fotomeccanici che allora venivan di moda, e imitate e falsificate all'infinito. La Casa Danesi ne pubblic\'f2 tutt'un album. E poich\'e8 in quelli anni, in mezzo al cos\'ec detto agone letterario balzava, anch'egli ridendo di sincerissima gioia, Gabriele d'Annunzio appena ventenne (Primo vere usciva nell'80 e la prima grande, edizione sommarughiana del Canto novo composto \'abtra l'aprile del 1881 e l'aprile del 1882\'bb era illustrata con disegni di Michetti), quelle belle donne parvero le muse contadine del nuovo poeta e la \par ....bella frenante la foga de' lombi stupendi \par tra le prunaje rosse gi\'f9 per la china audace, \par alta, schiuse le nari ferine a l'odor de la selva \par violata da 'l sole, bella stornellatrice, \par parve nello specchio poetico l'acceso riflesso d'un quadro michettiano. \par Nessuno dei molti critici e biografi di Gabriele d'Annunzio - Croce, Morello, Borgese - ha anc\'f3ra studiato quanto quel poeta tutto sensi che a vent'anni era gi\'e0 innamorato di tutte le arti figurative e gi\'e0 riempiva dei loro ricordi i suoi scritti, abbia dovuto, allora e poi, all'affettuosa vicinanza di Michetti. Nei quadri del suo conterraneo gi\'e0 celebre molte delle figure, delle scene, dei paesi d'Abruzzo che egli poi descriveva, gli apparivano gi\'e0 mutate in opera d'arte, cio\'e8 gi\'e0 definite nei loro caratteri essenziali e ordinate in modo da produrre sul pubblico l'effetto voluto. Certo egli gi\'e0 vedeva le cose con quella curiosit\'e0 inesausta che in arte \'e8 propria dei grandi descrittori di paese, da Chateaubriand a Maupassant. Ma Michetti gl'insegn\'f2 a guardare. Non basta fermarsi alla somiglianza dei temi, dal San Pantaleone alla Figlia di Jorio. Bisogna giungere pi\'f9 in fondo. Vincenzo Morello ha pubblicato nel suo Gabriele d'Annunzio alcune pagine d'un taccuino del d'Annunzio scritte appunto tra il 1881 e il 1882: son tutte descrizioni di paese e son tutte fatte col \'abdelirio\'bb coloristico del Michetti di quel tempo segnando i varii colori d'ogni cosa, d'ogni vela, d'ogni nuvola, d'ogni pianta, d'ogni foglia, con una mania pittorica minuta e continua che \'e8 rara nei poeti. Lo stesso paesaggio visto da due persone diventa due paesaggi, ma d'Annunzio allora vede il paesaggio fra Chieti e Francavilla, dalla collina fino alle foci del Pescara, esattamente come lo vede Michetti, si pu\'f2 dire con gli occhi di lui. Poi anch'egli s'\'e8 fatto pi\'f9 sobrio e pi\'f9 meditato ed ha acquistato in stile quel che ha perduto in foga. Ed anche Michetti ha fatto lo stesso. Cos\'ec non sembra audace pensare che alla trasformazione, alla semplificazione, direi alla stilizzazione della pittura michettiana tra il 1883 e il 1895, tra il Voto e la Figlia di Jorio, abbia a sua volta contribuito l'esempio di Gabriele d'Annunzio il quale, ospite di Michetti, scrisse a Francavilla, nel Convento di Santa Maria Maggiore comprato dal pittore proprio nel 1883, il Piacere (1884-1889), l'Innocente (1890-1892) e buona parte di quel Trionfo della Morte (1889-1894) che \'e8 appunto dedicato a Michetti con una prefazione nella quale \'e8 detto: \'abTi ho anche raccolta in pi\'f9 pagine, o Cenobiarca, l'antichissima poesia di nostra gente: quella poesia che tu primo comprendesti e che per sempre ami\'bb. \par Ma torniamo all'esposizione di Milano del 1881. In quella trentina di quadri e di quadretti era sempre la stessa esuberanza, la stessa volont\'e0 di meravigliare, le stesse giapponeserie un po' di maniera in cui ai salti acrobatici di prospettiva lineare non corrispondeva sempre un'educata finezza di prospettiva aerea, le stesse cornici con stelle, croci, fiori, rami di mandorlo e d'olivo che dalla cornice passavano poi dipinti sullo stesso vetro davanti al quadro, e sempre la stessa nativa strabiliante facilit\'e0 di dipingere senza un'esitazione mai, una manualit\'e0 cos\'ec pronta, cos\'ec sagace, cos\'ec gioiosa che moltiplicava nel pubblico il diletto pel tema e pei festosi colori perch\'e8 gli faceva quasi vedere di l\'e0 dalla tela il volto ridente e spensierato del pittore. E il tema era sempre chiaro e definito come in un quadretto di genere, ma con pochi personaggi e un'evidenza e una naturalezza e una grazia ignote fino allora a tutti i pittori di genere fuorch\'e8 all'Induno e al Favretto: ad esempio, una covata di pulcini che invade la culla dove dorme un bel bimbo; un'altra covata di pulcini che pigola sulla veste della madre inginocchiata presso la culla del suo bimbo morto; una contadina fiorosa e ingemmata seguita da due innamorati, uno magro e malinconico e uno lieto che canta. Il canto torna spesso in quelli anni nei quadri di Michetti, \'e8 la voce stessa dell'anima sua. Una bella contadina che in un paesaggio primaverile canta il suo amore in faccia alla pianura o al mare, \'e8 il pi\'f9 somigliante e sincero ritratto della sua arte. Per accompagnare le varie voci di questo canto, quell'impetuoso indugia a scegliere i gesti e i colori, e li dispone in fila come un musicista metterebbe le note, pi\'f9 su o pi\'f9 gi\'f9, sulle cinque righe della sua carta. Il primo studio delle sue Ragazze che cantano \'e8 un pastello sommario dove cinque ragazze facendo catena con le belle braccia s'avanzano sopra un declivio che taglia la scena in diagonale; la traccia \'e8 in nero lumeggiata da macchie di verde, d'azzurro e di bianco. Ma poi il tema \'e8 semplificato in un altro abbozzo a bianco e nero, con tre donne sole, separate, una a testa alta lanciando il canto al cielo, il soprano, - una a testa pi\'f9 bassa, il contralto, - una seria pi\'f9 indietro, l'accompagnamento monocorde e fisso; e le loro braccia son tese a far nell'aria quieta la via al suono. In un altro, anche posteriore, le tre cantatrici sono ferme tutte e tre, e in un angolo del disegno l'artista ha addirittura scritto le prime note del motivo.... \par Ma in fondo, alle esposizioni di Milano e di Torino, Michetti era ancora rimasto quello che era apparso nel Corpus Domini, e nessun quadro suo aveva superato i piccoli prodigi di pittura e d'osservazione e di poesia che erano i quadri d'animali dipinti anche prima del 1877. E ormai egli aveva trent'anni. Anc\'f3ra era superbo della sua giovinezza, della sua rudezza paesana, della sua frugalit\'e0 spartana, della sua forza muscolare e della sua agilit\'e0. Anc\'f3ra era capace di rispondere quel che aveva risposto giovanetto a un cliente il quale avendo comprato un quadro di lui perch\'e8 l'aveva creduto del Palizzi ed essendo rimasto meravigliato che fosse invece di quel \'abpastorello\'bb, gli aveva chiesto: - \'abE voi che altro sapreste fare?\'bb - \'abCose centomila volte pi\'f9 difficili\'bb - aveva risposto impavido Michetti. - \'abPer esempio?\'bb - \'abPer esempio, questo\'bb, - e gli aveva fatto l\'ec nel salotto due salti mortali da atterrire un ginnasta. Ma se si fosse accontentato di quello che ormai sapeva fare e di quel che tutti sapevano che egli sapeva fare, sarebbe finito dove \'e8 finita, morti Toma, Morelli, Palizzi, tutta l'altra abilissima pittura napoletana: in un silenzio che par di tomba. \par Per fortuna Michetti era pi\'f9 prudente di quel che credevano i suoi critici e i suoi laudatori. Continuava, s\'ec, a dipingere pastorelle e bimbi e contadini innamorati e contadine belle - di quelle contadine di cui il Millet, quando le aveva vedute dipinte dal Breton, aveva detto: \'abCes filles l\'e0 sont trop jolies pour rester au village\'bb, - e continuava a dipingerle con una virtuosit\'e0 che gli faceva anche dai critici perdonare la leziosaggine, con un'evidenza e un rilievo e spesso con una poesia che le faceva dai laudatori paragonare a idillii teocritei e ad egloghe virgiliane. Ma nella solitudine della sua Francavilla dove aveva ai primi guadagni condotto la famiglia, egli sapeva ormai meditare anche sul suo avvenire e sul miglior modo d'uscire con un bel salto e con un po' di fracasso da quel mar di dolcezze. Gl'intronavano gli orecchi con la sua grazia, la sua giocondit\'e0, la sua tenerezza, la sua seduzione? Ed eccolo contro ogni aspettativa mandare a Roma per la grande Esposizione del 1883 il Voto: una vasta tela, un tema lugubre al chiuso senza cielo, un pensiero, come gi\'e0 si diceva, sociale, miseria e superstizione, stupidit\'e0 e sangue, una pittura rude che sente il terriccio del paesetto, che \'e8 inquadrata in una cornice stretta come una bacchetta. E dichiar\'f2 che quel quadro l'aveva dipinto in tre mesi e in un angolo scrisse \'abNon finito\'bb. \par Narravano tutti i fogli che l'anno avanti, di luglio, Michetti s'era trovato a un'ora da Francavilla nel villaggio di Miglianico per godersi la festa e la processione di San Pantaleone patrono del villaggio. La testa d'argento del santo \'abbianca in mezzo a un gran disco solare\'bb veniva per quel giorno tratta dal sotterraneo dove \'e8 sempre custodita dietro un cancello di bronzo, e i canonici del Capitolo avevano pensato di chiedere a un fotografo di ritrarla. Saputo che Michetti era l\'ec, gli avevano chiesto di soccorrere coi suoi consigli il fotografo. Michetti aveva acconsentito, e appena il busto d'argento era apparso sulla porta della chiesa a un cenno di lui il corteo s'era fermato e s'era aperto, la macchina pronta sul suo treppiede era stata messa in foto, il fotografo e il pittore erano scomparsi sotto lo scialle nero e la fotografia era stata fatta, fra l'attonito silenzio dei paesani. Ma poche ore dopo era scoppiato un uragano, la grandine aveva devastato tutto il raccolto, e i paesani avevano urlato che quella era la vendetta del santo, il tangibile segno del suo abbandono ora che una sua immagine era stata portata via da Miglianico. Nessuno aveva potuto frenarli: s'erano scagliati alla ricerca del pittore per linciarlo. Ma per fortuna il pittore, avvertito, gi\'e0 correva gi\'f9 per la collina al gran trotto del suo cavallo verso Francavilla. Da quel che aveva veduto nella chiesa prima che San Pantaleone uscisse al sole e s'offrisse alle indiscrezioni dell'obbiettivo, egli aveva tratto il soggetto del quadro: il busto del santo sopra un tappeto in terra tra sei candelabri, i contadini, la lingua per terra, striscianti e sanguinanti dalla soglia della chiesa fino all'idolo che abbracciavano singhiozzando e fremendo, il prete sereno e sorridente sotto il gran piviale, inginocchiato l\'ec presso con l'aspersorio in mano, e dietro a lui la folla, uomini, donne, vecchie, spose, infermi, bambini, tutti con un cero in mano, l'anima negli occhi, estatici e dolenti. \par Si badi. Una pi\'f9 tragica visione della vita paesana era, anche in Italia, nell'aria. Giovanni Verga aveva pubblicato nell'80 la Vita dei Campi e nell'81 I Malavoglia e si doveva parlar di verismo, nel senso francese e pessimistico, anche al caff\'e8 di Pescara. In arte Millet, che era morto nel 1875, cominciava ad essere conosciuto anche da noi ed esaltato tanto che trovava degl'imitatori (a modo loro, s'intende) perfino nella mite Toscana e che da qualcuno era gi\'e0 proposto come il solo possibile contravveleno all'ubbriacatura spagnola dei minuscoli epigoni fortuniani. E d'Orsi aveva esposto a Torino, tre anni prima, il Proximus tuus, e due anni prima a Milano il Patini, un abruzzese, L'Erede; e anche attorno ad essi imitazioni e plagi che non avevano avuto paura di ripetere magari lo stesso titolo della statua o della pittura imitata. \par Si noti anc\'f3ra. La trasformazione di Michetti \'e8 nel Voto meno profonda di quel che si disse allora. Il soggetto brutale \'e8 nuovo ma la pittura resta la stessa: la stessa luminosit\'e0 dei singoli oggetti senza l'unit\'e0 della luce ambiente, lo stesso balzar in avanti di certe figure del fondo, la stessa minuzia di certi particolari e lo stesso sprezzo per certi altri, a capriccio, senza una logica visibile cos\'ec che al quadro mancavano anc\'f3ra il centro e l'equilibrio, la stessa importanza data alla figura umana fin nei suoi ornamenti e nei suoi fronzoli, la stessa sommaria e fresca pittura dei fondi, insomma la stessa visibile ostentazione della propria maestria senza un'austera ricerca di stile, ch\'e8 stile \'e8 rinuncia, semplificazione, misura. Come nel Corpus Domini, come nell'Ottava, come nei Morticini, anche nel Voto, dopo la prima ammirazione, si capiva che il pittore avrebbe prodotto nello spettatore capace una pi\'f9 intensa emozione di gioia, di pena, di ribrezzo se si fosse meno disperso e avesse voluto scegliere. L'economia dell'attenzione \'e8 in pittura come in letteratura una condizione per l'intensit\'e0 dell'emozione. E, da Tintoretto a Millet, da Rembrandt a Boecklin, tutt'i pittori di sentimento e di passione hanno obbedito, sapendolo o non sapendolo, a questa legge del minimo mezzo. Michetti anc\'f3ra non vi obbediva. Si poteva dire che egli amava anc\'f3ra s\'e8 stesso, la sua mano prodigiosa, la sua acutezza d'osservazione pi\'f9 dell'arte, e preferiva anc\'f3ra far ammirare le proprie qualit\'e0 di pittore pi\'f9 che il suo quadro. Dal quale l'anima sua restava fuori. Nelle altre sue opere, o la letizia primaverile o l'ebbrezza amorosa o la tristezza autunnale o la nostalgia davanti a un tramonto sul mare, eran visibili e comunicative anche se in quelle maggiori e pi\'f9 affollate l'efficacia era stata, come ho detto, diminuita dalla dispersione delle parti. Ma qui, creando il Voto, che aveva egli sentito? Aveva forse, come pi\'f9 tardi nel Trionfo della Morte Giorgio Aurispa davanti a uno spettacolo simile, provato dentro quella chiesa \'abil disgusto per la bestia immonda strisciante nella polvere consacrata\'bb? Esperimentando quella \'abaderenza materiale con lo strato infimo della sua razza\'bb, aveva egli arretrato d'orrore o aveva sorriso di scetticismo o aveva tremato per un improvviso contagio di bestialit\'e0 e di superstizione? Non si capiva. Egli aveva dipinto quelle cinquanta figure del suo quadro oggettivamente, come si diceva in quelli anni in cui si credeva nella favola d'un'arte oggettiva, cio\'e8 macchinalmente (una macchina prodigiosa e perfetta, s'intende) tanto che la pittura, ripeto, era stupefacente, ma non il quadro. \par Quella pittura, pezzo per pezzo, figura per figura, superava per la variet\'e0 dei tipi, la verit\'e0 delle espressioni, il vigore del disegno, tutto quel che il \'abmago\'bb aveva fatto fino allora. E per questo gli studii che l'accompagnavano furono tutti venduti in pochi giorni, a mille lire l'uno, e il primo l'acquist\'f2 un pittore spagnolo, il Pradilla, e ringrazi\'f2 Michetti del regalo: lode pericolosa che voleva inutilmente ricondurlo fra gli stanchi seguaci del Fortuny. Alma Tadema scrisse allora a Domenico Morelli: \'abMichetti est tout bonnement admirable: j'en suis fou\'bb. \par Agli inni universali si opposero da un lato pochi \'abcostaroli\'bb o discepoli di Nino Costa il quale in quelli anni si sforzava di ricondurre l'arte italiana sugli ammaestramenti inglesi a una semplicit\'e0 e a una ingenuit\'e0 da primitivi e proprio l'anno dopo nella stessa Roma finiva a raccogliere il suo gruppo nella societ\'e0 In arte libertas. L'articolo romanescamente violento e inutilmente scortese che il Costa scrisse contro il Voto part\'ec da quel programma e fece perci\'f2 un grande rumore. E pi\'f9 il rumore crebbe quando la commissione incaricata dal ministro delle compere ufficiali compr\'f2 - tutto per quarantasette mila lire - il Refugium peccatorum del Nono, il Bosco di castagni del Boggiani, il Mulino a Verona del Bezzi, il Viaggio triste del Faccioli, un ritratto del Tallone, ma non il Voto del Michetti. Poich\'e8 col Michetti eran stati esclusi dalle compere anche il Favretto, il Delleani, il Fattori, il Carcano, il Tito, il Rossano, fu un urlo generale, da Torino a Napoli. I pi\'f9 severi e meditati articoli in quella girandola di polemiche furono scritti da Luigi Chirtani sul Corriere della Sera. Ettore Ferrari port\'f2 la questione alla Camera e Guido Baccelli ministro dell'Istruzione nomin\'f2 sei deputati - Odescalchi pel Lazio, Martini per la Toscana, De Riseis per le provincie dette napoletane, Crispi per la Sicilia, Perazzi per tutta l'alta Italia, Salaris per la Sardegna - perch\'e8 distribuissero (oh le idee artistiche del parlamento italiano....) altre centocinquanta mila lire in tre parti uguali, una per l'Italia settentrionale, una per quella centrale, una pel resto! E la commissione compr\'f2 finalmente per quarantamila lire il Voto di Michetti. Lo sforzo fu tanto che da allora in ventisette anni il governo non \'e8 riuscito a comprare altro di lui che una Pastorella, una non felice variante di quella della collezione Rotondo. \par Nino Costa in quel suo articolo fra molte iniquit\'e0 aveva scritto queste parole giuste: \'abGran peccato che un uomo tanto ben dotato dalla natura non sappia essere pi\'f9 semplice, per la coscienza della propria forza\'bb. Non so se il Michetti leggesse o, se lo lesse, meditasse questo giudizio. Ho gi\'e0 indicato altre cause e altri esempii che poterono subito dopo il Voto spingerlo verso una semplificazione e verso una ricerca di stile pi\'f9 vigile e pi\'f9 severa. Certo egli col Voto aveva nella piena maturit\'e0 del suo ingegno mostrato la sincera volont\'e0 di rinnovarsi magari restando per qualche anno in disparte. A Torino nel 1884 non espose che acqueforti, tutte scenette di campagna gi\'e0 da lui incise a Parigi nella casa Cadart e pubblicate dal giornale l'Art, perch\'e8 all'Istituto di Napoli egli aveva studiato anche incisione con Aloisio Juvara. A Venezia nel 1887, fra alcuni dei quadretti idillici che l'avevan condotto alla fama, non mand\'f2 di nuovo che un ritratto - il ritratto della signora Maria de Bernadacki. \par Al ritratto si era dato in quelli anni con passione e ne aveva fatti a olio del re, della regina, della principessa Odescalchi (pel principe Baldassarre Odescalchi aveva dipinto anche un Innocenzo undecimo che fu donato al papa), e, a pastello, di sua moglie e di sua suocera. D'Annunzio nel 1893 scrisse che \'abi ritratti del re e della regina erano vere pagine storiche comparabili certo nella bellezza al Francesco primo di Tiziano, al Giulio secondo di Rafaele, all'Almirante Pureja del Velasquez, al William Waram di Hans Holbein\'bb. I paragoni erano un poco contradditorii e molto pericolosi: erano di maniera quanto quel \'abRafaele\'bb. E quelle due tele oggi nella Galleria veneziana d'arte moderna non sembrano pi\'f9 a nessuno degne n\'e8 di Tiziano n\'e8 del miglior Michetti. Ma il poeta, che poco dopo pos\'f2 per la figura d'un altro ritratto d'Umberto dipinto dal Michetti indossando addirittura l'uniforme reale, vedeva giusto quando indicava in quei ritratti e negli altri di quelli anni e nelle teste che poi il pittore espose in Roma nel giugno del 1893, l'inizio per lui d'un periodo pi\'f9 tranquillo e pi\'f9 lucido, una maggiore purezza di pittura, uno sforzo pi\'f9 costante a nascondere la propria sapienza, a raggiungere una pi\'f9 schietta semplicit\'e0. \par L'effetto di questi propositi fu finalmente la grande tempera della Figlia di Jorio che apparve alla prima biennale di Venezia nel 1895 e che adesso \'e8 purtroppo nella Galleria Nazionale di Berlino, col Ritorno e con l'Ora triste di Giovanni Segantini. \par Alle falde della Majella che biancheggia nel fondo, lungo un ciglione sul sentiero fangoso passa la figlia di Jorio (Jorio in abruzzese \'e8 Gregorio), la \'abcagna randagia\'bb, il capo sotto il suo mantello rosso color di bucchero: sull'orlo del ciglione sei uomini, giovani e vecchi la guardano cupidi e chi ride e chi ghigna e chi l'ammira estatico; l'ultimo in piedi \'e8 decapitato dalla cornice; un ramo nudo di mandorlo tende da sinistra pochi fiori verso la bella desiderata, ma non si vede l'albero che lo sostiene. \par Da venti anni Michetti pensava a quel tema che pi\'f9 tardi nel 1904 sugger\'ec a Gabriele d'Annunzio la sua tragedia pastorale. Prima ne aveva fatto un disegno ravvivato da due o tre colori, intitolato La reietta, e la donna vi passava davanti a gruppi d'uomini e di donne che confabulavano in aria di mistero, fuori d'un villaggio di cui si intravvedevano tra gli alberi le prime case. In un altro disegno sul quale era scritto Passione, scena umana, una gran folla era fuori d'una chiesa e, proprio nel centro, in un vuoto ostile si vedeva passare una donna, curva sotto uno scialle nero, con una mano sulla faccia, e il tendone rialzato a piet\'e0 sulla porta maggiore del tempio recava - proprio cos\'ec... - la parola Caritas. Pian piano la scena si era semplificata, i costumi eran diventati precisamente quelli di Orsogna, un caratteristico paesotto in quel d'Ortona rinomato per una pittoresca processione detta \'abdei Talami\'bb, e non erano restati in cospetto della figlia di Jorio sopra una ripa verde che cinque uomini: questa piccola tempera fu esposta a Milano nel 1881. Ma in nessuno di questi e degli altri studii e quadri preparatorii appariva anc\'f3ra lo sfondo della montagna azzurra e bianca, -- alone niveo di purezza su quel rosso peccato e quelle brame. E in nessuno - quel che pi\'f9 importa - la pittura era squadrata con pochi piani e con tanta fermezza e con tanta larghezza come nel quadro. La donna e il giovane seduto nel mezzo del quadro e l'uomo senza testa e un'altra mezza figura di donna che appare ferma a destra, con una macchia sul capo, sembrarono addirittura dipinte da un pittore a fresco che avesse studiato Masaccio o Pier della Francesca e la loro pittura statuaria. Niente fronzoli, niente particolari inutili: quel che si doveva dire e niente altro. E l'uomo decapitato e la donna tagliata a met\'e0 e il ramo di mandorlo senza tronco, pareva che fossero l\'ec per dichiarare questa intenzione del pittore di parlar breve e limpido, senza una sillaba di pi\'f9 del necessario. Solo nel terreno schizzato con poca consistenza era l'ultimo ricordo del Michetti beato di mostrare la propria bravura. \par L'anno dopo egli vendeva, dicesi per trecentomila lire, al signor Ernst Seeger di Berlino quel quadro e tutto quello che aveva nello studio - quadri ad olio e a tempera, e casse e casse di pastelli e di guazzi, di appunti e di studii. Quando nel 1899 partivo per Berlino per andare a vedere la mostra di tutte quelle sue opere, egli mi disse: - Troverai l\'e0 tutto il mio lavoro di venti anni. Le pareti, le casse, le tavole del mio studio sono vuote. Ricomincio da capo, - e sorrideva agile e sano, soddisfatto di quella seconda giovinezza, felice di ritrovarsi davanti alla vita con occhi nuovi e con un bel sole di gloria sull'aperto orizzonte. \par A Berlino la Figlia di Jorio del 1895 era esposta di contro al Corpus Domini del 1887. Tra quei due poli era chiusa tutta la nobilissima vita di questo solitario che aveva lavorato per venti anni a domare la facilit\'e0 e l'irruenza del suo genio e a trovargli uno stile: una vita e un esempio. \par Perch\'e8 da allora Michetti non ha pi\'f9 esposto un dipinto che continuasse la matura e virile bellezza di quella sua tempera? Il quadro l'Offerta che fu donato dalle dame e dai gentiluomini di Corte alla nuova regina d'Italia per le sue nozze, i disegni per la Bibbia d'Amsterdam esposti a Roma nel 1902 d'una forza tragica contenuta con tanta fermezza nell'osservazione del vero che parvero, meno il Saul, troppo realistici in un momento in cui la pittura religiosa gi\'e0 tornava mistica e fantastica, sono sembrati passatempi per chi a quarantaquattro anni aveva costruito quel monumento. D'altra parte le due grandi tempere esposte a Parigi nel 1900, I serpenti e gli Storpii, furono quasi un ritorno alle intemperanze dei primi anni. Raffigurava la prima una processione attraverso un prato verdissimo, sullo sfondo d'una chiesa dal portico alto e affrescato, con confraternite di uomini e gruppi di donne e di bimbi in vesti violentemente policrome, tutti cinti di serpi verdastre sul collo, sulle braccia, sulle croci, sui ceri; e la seconda, alcuni selvaggi episodii del pellegrinaggio di Casalbordino gi\'e0 descritto dal d'Annunzio nel Trionfo della Morte, cio\'e8 sotto un ripone giallo e riarso cinque o sei gruppi di storpi mostruosi e d'infermi protesi verso la croce che passa, spasimanti a implorare il miracolo. V'erano i soliti pezzi d'incomparabile bravura, ma v'era anche quell'antica ostentata noncuranza per la prospettiva lineare, per l'unit\'e0 della luce, per la composizione o almeno per quell'equilibrio dei colori e delle masse che forma il quadro e toglie allo spettatore il fastidio di sentirsi davanti a un frammento, a un'opera inorganica che potrebbe continuare anc\'f3ra per metri o essere senza danno dell'effetto tagliata anc\'f3ra in frammenti minori. E, del resto, da allora, silenzio. \par La psicologia degli artisti vivi \'e8 difficile a definirsi. Quella degli antichi \'e8 pi\'f9 facile non solo perch\'e8 tutte le opere vi stan davanti alla mente e tutte le ipotesi sono lecite e anzi le pi\'f9 ardite e scortesi hanno il miglior successo, ma anche perch\'e8 gli artisti sulle cui vicende lo psicologo o lo storico o il critico s'affaccendano, son dalla morte costretti a tacere. Invece sull'apparente inerzia di Francesco Paolo Michetti non \'e8 chi non dica la sua. E v'\'e8 chi ne d\'e0 la colpa alla sua clausura in provincia, anzi in campagna, lontano dalle lotte e dalla concitazione e dall'emulazione delle citt\'e0. E v'\'e8 chi la attribuisce a una specie di disgusto per l'arte venutogli dalla stessa facilit\'e0 con cui ormai egli lavorava, perch\'e8 il piacere del creare vien solo dal dolore della gestazione. E v'\'e8 chi trae da qualche frase pessimistica del Michetti la conclusione che dopo il 1896, dopo Adua e dopo la rassegnazione con cui gli italiani sembrano aver accolto la sconfitta, egli ormai disperi dell'avvenire della patria, e il lavoro gli sia faticoso davanti a un pubblico sempre pi\'f9 meschino e sempre pi\'f9 egoista. E v'\'e8 anche fra gli artisti pi\'f9 giovani chi dice che Michetti, tenutosi lontano a parole e a fatti da tutti i pi\'f9 recenti dibattiti sulla tecnica e sugli ideali della pittura, - dibattiti che del resto sono un plagio tardivo di quelli di venti e trent'anni fa in Francia, - non abbia pi\'f9 voglia di esporre quadri per sentirsi, nel pieno vigor dell'ingegno, proclamare un superstite.... Tutte ipotesi e probabilmente tutte ciancie. \par Michetti, certo, non se ne cura e forse nemmeno le sa. Su lui come sul suo d'Annunzio, chi li conosce da vicino, sa che \'e8 prudente non fare profezie perch\'e8 oggi essi sono, come venti anni fa, capaci di far ammutolire critici e profeti con un'opera sola, inattesa, e oggi, come vent'anni fa, una cosa sola a guardarli e a udirli sembra impossibile: che invecchino. \par Intanto Michetti continua a vivere, a studiare, a cercare, a meditare in un'attivissima pace nella sua Francavilla tra la collina e il mare, presso la sua donna Annunziata, moglie e madre esemplare, presso la sua bella e dolce figliola Aurelia dai capelli neri, presso il suo Sandro che si \'e8 impiantato lass\'f9 tutt'un laboratorio di chimica e di meccanica. E nella cella del Convento di Santa Maria Maggiore dove Gabriele d'Annunzio tant'anni fa ha scritto il Piacere e ha sognato la sua Elena Muti sotto la coperta di seta fina \'abd'un colore azzurro disfatto\'bb ricamata nientemeno che coi dodici segni dello zodiaco e proveniente nientemeno che dal corredo di Bianca Maria Sforza, le buone e sane donne di casa Michetti hanno posto una macchina da cucire e cuciono i loro semplici lini profumati di spigo.... \par \par }